Cosa può fare l’Intelligenza Artificiale per un paziente ematologico

Ogni evento, anche il più terribile, porta con sé un seme di rinascita. Abbiamo, nostro malgrado, partecipato a una sperimentazione collettiva su questo, attraverso la pandemia. La diffusione, a livello mondiale, della malattia chiamata Covid ha causato milioni di decessi in tutto il mondo, lockdown ripetuti, crisi economiche e conseguenze sul piano sociale che non sarà facile risolvere.

Tuttavia, è innegabile che la pandemia abbia portato anche qualcosa di buono. Un’attenta analisi del presente mostra, in realtà, che i benefici indiretti della pandemia non sono affatto trascurabili.

Con un pensiero sempre rivolto a chi ha perso la vita a causa del virus (il quale è ancora tra noi, come sappiamo), guardiamo all’impulso che la tecnologia e la ricerca scientifica hanno ricevuto nel periodo Covid emergenziale.

Una spinta in avanti che per fortuna non si esaurisce, anzi viene alimentata dalle nuove scoperte e dai farmaci di ultimissima generazione messi a punto anche in ambito onco-ematologico.

La presenza dell’intelligenza artificiale in ambito ematologico è cresciuta notevolmente, a vantaggio di tutta la comunità scientifica, ma soprattutto dei pazienti e delle loro famiglie.

Lasciamo a margine, in questa sede, il discorso sulle disuguaglianze tra le regioni (abbiamo già pubblicato contenuti in merito e torneremo sul tema) che spesso rendono impossibile il lavoro dei medici, ostacolano i progressi dei pazienti e lasciano in corridoio la tecnologia, in troppi casi. L’intelligenza artificiale deve entrare nei reparti di cura, negli studi medici, negli ospedali italiani tutti, perché la tecnologia significa la possibilità di salvare molte più vite di quante se ne salvino (già tante, grazie alla ricerca) oggi.

L’intelligenza artificiale, per chi non lo sapesse, è quella straordinaria risorsa di cui sono dotati alcuni strumenti, alcuni robot, alcune apparecchiature mediche.

Macchine con funzioni intellettive similissime a quelle umane. Immaginate cosa possa voler dire avere la possibilità di integrare in un’equipe ospedaliera uno o più robot sofisticati.

Le diagnosi potrebbero essere più veloci, gli errori diminuirebbero e ci sarebbe la possibilità di pianificare, con ancora maggiore precisione, terapie personalizzate. A ogni paziente la propria, in base alle caratteristiche fisiche, psicologiche, in base alla sua storia clinica, al tipo di malattia da curare, al genere di patologia del sangue da trattare.

In Italia esistono naturalmente dei centri che si occupano di sviluppare tecnologie in grado di convertire i risultati delle ricerche in terapie da somministrare ai pazienti. Uno di questi è nato nel 2021. Si chiama CARL (Center for Accelerating Leukemia/Lymphoma Research) ed è stato avviato grazie a Humanitas Research Hospital in collaborazione con Humanitas University e il Politecnico di Milano.

Sul sito della Fondazione Gimema è stato pubblicato, qualche mese fa, un ampio articolo in proposito.

Quel che noi possiamo fare è fornire linfa vitale ai centri di ricerca, sostenendoli e finanziandoli. Con AIL possiamo fare in modo che se ne aprano di nuovi, che crescano i centri di ricerca e quindi aumentino le possibilità di cura per i pazienti ematologici

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Azienda indiana crea test per diagnosticare tumori non ancora manifesti

L’azienda indiana Epigeneres Biotech ha creato uno strumento che sarebbe in grado di prevedere i tumori addirittura un anno prima che si manifestino. Se le prove sul campo successive alla scoperta e le ricerche che seguiranno dovessero confermare quella che per ora è una ‘partenza molto positiva’, si tratterebbe di una vera e propria rivoluzione.

In realtà, il test è più che una possibilità, dal momento che sembra che lo strumento sia stato usato, a livello sperimentale, in alcuni ospedali britannici. Stem Cells, una rivista scientifica, ha già pubblicato i primi risultati ottenuti, impiegando questo test. 

Per la precisione si tratta di un esame ematico, quindi di uno strumento estremamente semplice da introdurre nelle strutture sanitarie. Il prestigioso New York Post ha intervistato il presidente dell’azienda farmaceutica indiana, spargendo entusiasmo tra i lettori del giornale e tra gli addetti ai lavori. 

Leggendo l’intervista, si apprende che il test indiano sarebbe in grado di rilevare il tumore prima che diventi fisicamente identificabile. Sembra quasi fantascienza; sono invece i risultati straordinari della ricerca scientifica. Immaginiamo cosa possa voler dire per tutti noi e per la sanità pubblica, sapere con 18 mesi d’anticipo rispetto al primo stadio di un tumore, che l’organismo ‘stia sviluppando’ un cancro. 

Significherebbe la possibilità di bloccare la malattia prima ancora che ‘nasca’, milioni di vite salvate e un carico di lavoro nettamente inferiore a quello attuale per la sanità pubblica (che sappiamo avere grossi problemi logistico-finanziari). 

In futuro, forse, anche le patologie ematologiche si potranno prevedere con largo anticipo. Nel frattempo, sappiamo che i numeri delle diagnosi sono impressionanti: ogni anno, in Italia, si registrano più di 35 mila nuovi casi. È vero anche che le nuove terapie biologiche e le tecniche di sequenziamento genetico riescono a trattare, ogni giorno, un numero sempre maggiore di casi un tempo ritenuti senza speranza. Ma ciò non basta, perché le cure non sono offerte con omogeneità in ogni regione italiana. Continuano a registrarsi pesanti differenze tra una regione e l’altra. 

Il divario tra nord e sud (e non solo), nell’offerta sanitaria, è stato il tema del Convegno Nazionale intitolato “Un nuovo piano per una migliore assistenza dei pazienti con neoplasie ematologiche” organizzato da ISHEO, in collaborazione con La Lampada di Aladino ETS, con il patrocinio del Gruppo Neoplasie Ematologiche della Federazione delle Associazioni di Volontariato in Oncologia (F.A.V.O.).

Noi cosa possiamo fare? Offrire il nostro prezioso contributo alla scienza, attraverso le donazioni all’AIL. Anche solo destinare all’AIL il 5X1000 può fare la differenza, può salvare vite umane. Il codice fiscale per donare è il seguente: 80102390582. Grazie!

La ricerca conferma: l’attività fisica neutralizza il dolore

I pazienti ematologici, come altre categorie di pazienti, devono spesso confrontarsi con il dolore dovuto alla patologia o, in alcuni casi, favorito dall’assenza di movimento e, in qualche modo, alimentato da alcune delle terapie adottate per contrastare la malattia. 

Affrontare lunghe giornate attraversate dal dolore può essere molto complicato, soprattutto in assenza di terapie adeguate, mirate cioè ad attenuare quel dolore. Esso può divenire cronico. È a quel punto, ma non solo (la prima manifestazione dolorosa che impedisca di svolgere le più semplici attività quotidiane dovrebbe far correre ai ripari), che interviene la scienza. A quel punto, il medico presso il quale si è in cura consiglia, accanto a specifiche strategie farmacologiche, un altro genere di rimedio. 

Si tratta di una sorta di automedicazione; i suoi benefici sono raccolti nella parola sport. O meglio, nei termini ‘attività fisica moderata’. Diversi studi hanno stabilito che il movimento, non quello occasionale, ma la regolare attività fisica faccia bene all’organismo, sempre, e anche in caso di dolore cronico. 

L’analisi dell’Università della Norvegia settentrionale, a Tromsø, pubblicata sulla rivista Plos One, ha coinvolto circa diecimila persone adulte. È stato dimostrato che coloro i quali svolgevano una regolare attività fisica avevano maggiori chance di sopportare il dolore. Aumentava cioè la loro soglia di tolleranza al dolore, decisamente più alta rispetto a quella di chi non praticava alcuna attività fisica.

I partecipanti con livelli di attività totale più elevati avevano una maggiore tolleranza al dolore e coloro che avevano un’attività più intensa nel 2015/2016, rispetto al 2007/2008 avevano un livello complessivo di tolleranza al dolore più elevato.

Gli autori della ricerca (della quale l’Agenzia Ansa fa menzione) ritengono, sulla base dei dati raccolti, che muoversi regolarmente potrebbe aiutare anche le persone con una patologia cronica ad avere una migliore qualità di vita. L’attività fisica farebbe attenuare o scomparire addirittura il dolore, con riflessi positivi anche sull’umore. 

Una parte della ricerca scientifica si concentra da sempre sul legame esistente tra la sedentarietà e lo sviluppo di alcune patologie. Allo stesso modo si concentra sulla relazione tra attività fisica e attenuazione del dolore, anche di quello cronico. 

Pensate a quanto possa essere difficile la vita di una persona (non soltanto un paziente ematologico) che convive quotidianamente con il dolore. Stimoli limitanti e invalidanti. La ricerca scientifica segue questa strada da tempo. Aiutiamola ad ‘allargare le corsie’. Aiutiamola a farci stare meglio. Sosteniamola, perché supporti i pazienti ematologici, perché possa promuovere la guarigione, quindi la vita. L’AIL Sezione di Taranto vi invita cortesemente a donare il 5X1000 all’Associazione. Non costa nulla, ed è un gesto che vale tanto. Per tutti noi. Il codice fiscale per donare è il seguente: 80102390582. Grazie!